Una porta aperta da 120 anni

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Una porta aperta da 120 anni

«Volere bene a chi è ospitato nella nostra casa vuole dire anche e soprattutto operare perché le persone tornino, quando e per quanto è possibile, in una dimensione di autonomia, di serenità, di fiducia negli altri e nel domani»: ne è fermamente convinto Beppe Milanesi, presidente dell’associazione dormitorio San Vincenzo de’ Paoli di Brescia che, negli ultimi dieci anni, ha dato assistenza a oltre cinquemila persone, tra uomini e donne.

Il dormitorio fu inaugurato la notte di Natale del 1899. Nello stesso momento in cui Papa Leone XIII apriva la Porta Santa per il Giubileo anche alcuni giovani cattolici bresciani, tra i quali Giorgio Montini, padre di San Paolo VI, aprivano una porta, a suo modo, “santa” della casa di accoglienza. Da allora, la struttura situata in Contrada Sant’Urbano 10, lungo la salita per il castello, non ha mai smesso di offrire protezione dal gelo e dalla strada.

Da quella porta, aperta tutti i giorni a partire dalle 18.30 (e più recentemente, dal 1995, anche da quella di Casa Ozanam, la struttura d’accoglienza femminile) passano ogni giorno, senza pause, persone di ogni tipo, «tutti figli di Dio — ricorda Milanesi — che varcano la soglia, chi come il figliol prodigo, chi come il fratello maggiore, chi come il Padre misericordioso (il vero prodigo di amore), entrando in una casa che vuole essere prima di tutto il luogo di riunione e di incontro di una famiglia, magari a volte un po’ disastrata, ma dove non deve mai mancare la volontà di stare insieme e di volersi bene».

Negli ultimi anni il servizio si è evoluto radicalmente, passando da un’accoglienza mirata a soddisfare bisogni primari, come dormire, mangiare e lavarsi, a un accompagnamento competente e professionale. In tal senso prosegue senza soluzione di continuità un percorso di particolare attenzione agli ospiti attraverso la presenza nell’organico degli operatori dipendenti di personale altamente qualificato ai fini educativi, secondo le direttive in materia come la Federazione italiana organismi per le persone senza dimora a livello nazionale o come il settore servizi sociali del Comune di Brescia a livello locale. Un modello di vita comunitaria fondata sulla solidarietà e la carità come chiedeva il fondatore il beato Federico Ozanam.

«Di fondamentale importanza — prosegue Milanesi — continua a essere la dimensione relazionale e amicale che è tipicamente dei nostri splendidi volontari: tutti, dal primo all’ultimo, generosi, competenti, sempre pronti a tendere la mano, che sia per porgere un panino a tavola o per calare una carta durante una partita a briscola in cortile o per un semplice gesto di amicizia».

Molto bella e significativa è la fattiva collaborazione e la preziosa sinergia tra operatori e volontari in alcuni progetti (alcuni ormai storici come l’attività di cernita e rigenerazione di abiti e oggetti denominato Atelier Filò e altri nuovi come l’esperienza del laboratorio sartoriale di Made in Oz), perché dà un’idea precisa della comunità di intenti di persone con ruoli diversi che giocano nella stessa squadra con un obiettivo comune.

Il dormitorio maschile dispone di 44 posti letto suddivisi in camere da 4 o 6 posti con servizi igienici propri e si rivolge a uomini che si trovano in condizioni di emarginazione, senza fissa dimora.

Casa Ozanam è il nome invece della adiacente struttura di accoglienza femminile che offre 13 posti letto in 5 camere per donne sole e 3 mini alloggi per mamme con bambini. La casa è destinata a donne in difficoltà e in condizioni di precarietà (e di solitudine), maltrattate, vittime di violenze, ex carcerate, con dipendenze o con problemi psichici.

Le case della San Vincenzo de’ Paoli bresciana sono ormai una realtà molto strutturata e organizzata, ma che paradossalmente e curiosamente conservano nella loro essenza una logica non utilitaristica o mercantile, espressione dello spirito cristiano e uno stile tipicamente vincenziano di tante persone che in questo lungo lasso di tempo hanno scelto il dormitorio come luogo privilegiato per donarsi agli altri e in particolare a coloro i quali ne hanno più bisogno. «Lo stile vincenziano — sottolinea il direttore del dormitorio — è quello che emerge con evidenza dalla nostra preghiera, nella quale ogni invocazione o richiesta comincia con “Signore”, a significare che ogni azione è ispirata e orientata dalla Parola. È la fede in Gesù Cristo — conclude Milanesi — che genera le parole: fammi buon amico di tutti, aiutami ad accorgermi subito di quelli che mi stanno accanto, liberami dall’egoismo perché Ti possa amare in ogni fratello che mi fai incontrare. Ogni fratello, non solo quelli evidentemente più poveri, bensì tutti coloro che sono nel bisogno, non solo materiale, ma spirituale, affettivo, culturale, di speranza».

di Francesco Ricupero

Osservatore romano 6/12/19

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